Ghepardo che corre a tutta velocità nella riserva di Inverdoorn, Sudafrica

Safari fotografico a Inverdoorn: scoprire la fauna selvatica del Karoo in Sudafrica

AIl mio primo safari fotografico a Inverdoorn: una riserva semidesertica nel cuore del Karoo

Il mio primo ed unico safari fotografico in Africa si è svolto a Inverdoorn, una riserva naturale situata nel Karoo, a circa 2,5 ore di macchina da Città del Capo.

La posizione isolata di Inverdoorn

Inverdoorn si trova in una zona remota, a 60 chilometri dal centro abitato più vicino, Ceres. Questa riserva è un’area protetta di 10.000 ettari, creata sulle ceneri di una delle più grandi aziende agricole di frutta secca del sud del mondo.

La trasformazione di Inverdoorn: da azienda agricola a riserva naturale

A causa di una siccità durata dal 1962 per dieci anni, Inverdoorn si è trasformata da prospera azienda agricola in un’area semidesertica. È la storia di come la natura, in Sudafrica come altrove, si riprenda ciò che l’antropizzazione selvaggia le ha sottratto.

L'impegno di Jean-Michel e Cathy Vergnaud per la conservazione

Nel 1994, Jean-Michel e Cathy Vergnaud hanno acquistato la proprietà, con l’obiettivo di ripristinare Inverdoorn nel suo antico splendore. Spinti dal loro amore per la fauna selvatica e dalla passione per la conservazione, hanno trasformato l’area in una riserva brulicante di vita.

La fauna selvatica di Inverdoorn: una rinascita della biodiversità

Oggi, Inverdoorn ospita una varietà di specie selvatiche, tra cui leoni, ghepardi, elefanti, zebre, gnu, bufali, leopardi, giraffe, rinoceronti bianchi, ippopotami, antilopi e moltissimi uccelli. Molti di questi animali sono stati salvati da situazioni difficili, come il leone maschio allevato in cattività per diventare trofeo di caccia.

Un'esperienza di lusso nel cuore della natura

Al centro della riserva, i visitatori possono alloggiare in una sistemazione di lusso, con un servizio eccellente e cibo di alta qualità. Sebbene il costo non sia economico, è pienamente giustificato dalla qualità dell’esperienza. Per ulteriori informazioni, visita: www.inverdoorn.com.

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Lio Piccolo nella Laguna Nord di Venezia

Lio Piccolo: un paradiso per fotografi e amanti della natura nella laguna Nord di Venezia

Lio Piccolo è un piccolo angolo di paradiso naturalistico situato nella laguna Nord di Venezia , perfetto per gli amanti della natura e per i fotografi.

Come raggiungere Lio Piccolo: auto, bicicletta o vaporetto

Situato nel Comune di Cavallino-Treporti, Lio Piccolo è raggiungibile in auto passando da Jesolo o via acqua, utilizzando il vaporetto da Venezia con arrivo a Punta Sabbioni. La bicicletta è il mezzo ideale per esplorare le strette stradine che si snodano tra i canali delle valli da pesca e le paludi della laguna.

La storia e le frazioni di Cavallino-Treporti

Cavallino-Treporti, di cui Lio Piccolo fa parte, è tornato a essere un comune autonomo nel 1999, dopo essere stato inglobato nel Comune di Venezia nel 1923. Oltre a Lio Piccolo, la zona comprende varie frazioni, tra cui Ca’ Ballarin, Ca’ Pasquali, Ca’ Vio, Ca’ Savio, Treporti, Mosele e Punta Sabbioni.

Un paesaggio agricolo e naturale unico

Oggi Lio Piccolo è quasi disabitato, con solo pochi abitanti sparsi e un agriturismo. L’attività principale è l’agricoltura, con coltivazioni famose come le castraùre (primo germoglio del carciofo violetto) e le zizołe (giuggiole). Il paesaggio è caratterizzato da canali, zone di barena e valli da pesca, con qualche casone isolato.

La Piazzetta del Borgo e i ricordi di un passato storico

La storia di Lio Piccolo è testimoniata dagli edifici presenti nella Piazzetta del Borgo, dove si trovano la chiesetta di Santa Maria della Neve e il Palazzetto Boldù, che ricordano un tempo in cui la zona era più popolata.

La fauna di Lio Piccolo: uccelli stanziali e migratori

Lio Piccolo è noto per la sua straordinaria fauna, con molte specie di uccelli stanziali e migratori. Negli ultimi anni, anche i fenicotteri rosa hanno scelto quest’area per le loro soste. Tra le altre specie avvistate ci sono aironi bianchi, cinerini e rossi, chiurli, cavalieri d’Italia, gabbiani, anatre, upupe, gruccioni e molti altri.

Come fotografare gli uccelli a Lio Piccolo: consigli pratici

Fotografare gli uccelli a Lio Piccolo non è facile. Il consiglio è di scattare dall’auto utilizzando un tele-obiettivo lungo, approfittando delle piazzole di sosta lungo le stradine. Nonostante l’abbondanza di specie, riuscire a scattare foto nitide e ravvicinate può risultare una sfida. Gli uccelli sembrano “conoscere” la portata degli obiettivi e tendono a mantenere una certa distanza.

La mia esperienza: una sfida fotografica e la bellezza della natura

Nonostante un’attrezzatura di tutto rispetto – un Canon 100-400mm, un moltiplicatore di focale 1,4x e un corpo macchina con fattore di crop 1,6x – scattare foto nitide e ravvicinate degli uccelli non è stato facile. Le foto qui presentate sono le poche accettabili, e questa esperienza mi ha insegnato l’importanza della pazienza e del rispetto per i ritmi della natura.

La ricompensa della levataccia: la bellezza di Lio Piccolo

Anche se non tutte le foto degli uccelli sono state come desiderato, la bellezza della natura di Lio Piccolo ha permesso di catturare altre immagini meravigliose, che hanno ripagato lo sforzo e la levataccia mattutina.

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Mostra fotografica Enzo Marchesini ad Arzignano

Mostra fotografica di Enzo Marchesini

 La Mostra fotografica di Enzo Marchesini in Biblioteca Civica ad Arzignano (Vicolo Marconi, 6) è da vedere.

Inaugurata il 16 settembre scorso, chiude il prossimo 3 ottobre).

Enzo è un fotografo amatoriale che fa belle foto da qualche decennio.

Ricordo con gratitudine una sua foto a mia figlia Silvia che, bambinetta, provava il suo primo triciclo. Lei aveva 2 anni e quindi parliamo di 36 anni fa.

Questa consuetudine ed amicizia di lunga data consentono forse un giudizio equilibrato tra il molto di bello che c’è nella mostra e quello che può essere migliorato.

Molte foto sono belle. Alcune sono veramente molto belle.

Grazie Enzo per avermele messe a disposizione e consentirmi di pubblicarle sul mio blog.

In assoluto quella che mi è piaciuta di più è la “Bicicletta al matrimonio”. Ho voluto usarla come copertina di questo post perché rappresenta il tipo di fotografia che mi piacerebbe aver fatto io (e che quindi prendo come fonte di ispirazione).

Belle sono le foto delle cupole a cipolla delle chiese bizantine e degli edifici modernisti, bella è la classica vista di Oja a Santorini, belli sono i paesaggi bucolici della alta Valle del Chiampo, cosi come altri soggetti.

Un buon numero delle foto esposte fa il suo dovere: trasmette delle emozioni. Si fa ricordare con piacere. Non vale per tutte. Diciamo che, forse, era meglio limitare il numero delle foto esposte per dare più forza comunicativa alle tante belle foto senza attutirne l’impatto con altre non della stessa qualità.

Non avrebbe guastato descrivere le foto. Alcuni soggetti sono auto-esplicativi così come alcuni luoghi si riconoscono facilmente. Altri no. In particolare non ho capito, per mia ignoranza, dove fossero alcuni degli edifici moderni così ben fotografati.

Indicare in calce alle singole foto luoghi, date, nomi evocativi della sensazione che quella foto ha prodotto nel fotografo, aiuterebbe anche l’osservatore a capire meglio ciò che sta guardando.

Infine una notazione tecnica: in più di un caso le foto non hanno abbastanza dettaglio nelle ombre. Guardandole pensavo a difetti di esposizione o ad un post-processing non adeguato.

Avendo avuto la fortuna (grazie Enzo per la cortesia) di ricevere i file originali, ho visto che contrasto e dettaglio sono corretti. C’è un quindi uno specifico problema di qualità di stampa, in particolare nelle ombre. La prossima volta sarà meglio scegliere qualcuno in grado di valorizzare meglio la qualità delle foto.

In conclusione: andate a visitare la mostra. Complimenti alla Biblioteca di Arzignano per averla organizzata. Spero altri fotoamatori vorranno esporre nel prossimo futuro i risultati della propria passione per la fotografia.

 

Post-scriptum: tutte le foto di questo post sono di Enzo Marchesini (https://www.flickr.com/photos/skyebasta/)

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Big Sur

Big Sur: il selvaggio West nella moderna California

Big Sur è una botta di natura selvaggia a sud di Carmel e Monterey nella California centrale. Negli anni sono state proposte definizioni di Big Sur che potrebbero sembrare un eccesso di retorica (“il più grande incontro di terra e di acqua nel mondo”), ma che rendono bene le sensazioni che si hanno a fronte di un insieme di viste mozzafiato realmente tra le più belle al mondo. Il tratto costiero si estende sulla leggendaria Highway 1 (conosciuta anche come Pacific Coast Highway) per oltre 150 km, stretto fra i confini di altre 2 perle costiere californiane: Hearst Castle a Sud e la raffinata cittadina di Carmel a Nord. È proprio “”una delle coste più belle in qualsiasi parte del mondo”, con una reputazione mitica. In una zona scarsamente popolata, che vede emergere brutalmente le montagne di Santa Lucia dall’oceano Pacifico, tanto brutalmente da passare dal livello del mare ai 1500 metri di altitudine in 5 km, il viaggiatore viene preso emotivamente dall’inanellarsi continuo di scorci stupendi di bellezza naturale. I luoghi più belli e famosi sono Mc Way Cove, Pfeiffer State Beach, Ragged Point, Bixby Creek Bridge, il faro di Point Sur, Partington Cove, Dolan Canyon, Big Creek Bridge, Limekiln Creek Falls. Contro ogni apparenza è anche un’area di particolare fragilità. Non solo per il rischio di urbanizzazione ed antropizzazione, ma anche per gli incendi. Incendi che nascono dalla imbecillità di qualche campeggiatore e creano danni enormi. Siamo capitati lì agli inizi di settembre 2016, quando un incendio iniziato da oltre un mese stava ancora bruciando una zona molto estesa. Parlando con i ranger ci dicevano che pensavano fosse necessario un altro mese per completare lo spegnimento degli incendi. Purtroppo l’incendio ci ha impedito di apprezzare molti dei luoghi più belli, perché l’accesso era impedito per ragioni di sicurezza e per consentire a ranger e vigili del fuoco di fare il loro lavoro.   Infine, un consiglio pratico. Come in tutte le aree scarsamente abitate, il viaggiatore deve ricordarsi che lungo la strada i servizi languono e, quando ci sono, si fanno pagare profumatamente. Ad esempio la benzina la paghi 6,5 dollari a gallone (ca. 3,6 litri) quando a Morro Bay l’avevi pagata 2,35 dollari. Ricordati che, alla fin fine, sei ancora nel selvaggio West e che i moderni tagliagole approfittano del fatto che te ne sei dimenticato.
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Murales a Mission District – San Francisco

Arrivi alle 6:30 di un sabato mattina a Mission Distric, il primo insediamento urbano di San Francisco, per vedere se è vero che è proprio una galleria d’arte all’aria aperta come tutti dicono.

L’esperienza eccede ogni aspettativa.

Lungo Balmy Alley, Valencia Street, Mission Street, Clarion Alley, Harrison Street, e le molte altre, ti trovi di fronte ad una fantasmagoria di murale vivaci. Molti di loro sono vere e proprie opere d’arte che giustificherebbero da sole la visita a San Francisco.

Il quartiere non è esattamente uno dei quartieri dove sentirsi più tranquilli, almeno in alcune sue parti. I segni della povertà e del degrado sono evidenti e cozzano ancor più considerando quanto San Francisco sia una delle città più ricche da tutti i punti di vista degli USA (economico, culturale, di bellezze naturali).

In tutto il quartiere sono centinaia i muri e le recinzioni decorati con opere d’arte variopinte. I temi vanno dal patrimonio culturale alle dichiarazioni politiche e sociali.

La collezione di dipinti murali riflette una varietà di stili artistici e spesso raffigura temi di inclusione sociale.

La prima apparizione di murales prima in Balmy Alley avviene a metà degli anni 1980 come espressione di indignazione per i diritti umani e di abusi politici in America centrale.

Oggi, i temi si sono ampliati per includere i temi connessi con la violazioni dei diritti umani, gentrification e l’uragano Katrina.

La visita va fatta rigorosamente a piedi, passeggiando nelle strade e stradine, entrando anche nei vicoletti che fanno scoprire alcune delle opere (perché di opere vere e proprie si tratta) più belle.

Una menzione a parte merita “The women’s building” (“a safe place for women”) sia per il suo significato che per la incredibile qualità delle opere d’arte che sono i murales che la decorano.

The women’s building” è riconosciuto a livello mondiale per la sua MaestraPeace murale, che onora il contributo delle donne di tutto il mondo. Dipinta nel 1994 su due pareti, questo murale è il risultato di un lavoro multi-culturale con la collaborazione di sette donne artiste di diverse generazioni.

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Vista spettacolare delle Tre Cime di Lavaredo nelle Dolomiti sotto un cielo limpido e azzurro

Tre Cime di Lavaredo: escursione con tour fotografico

Le Tre Cime di Lavaredo: uno dei paesaggi più iconici delle Dolomiti

Le Tre Cime di Lavaredo (Drei Zinnen in tedesco, Tré Thìme in dialetto cadorino) sono tra le meraviglie più conosciute delle Dolomiti di Sesto e rappresentano uno dei paesaggi più iconici della catena montuosa delle Alpi. Il loro versante nord appartiene al comune di Dobbiaco, in Trentino-Alto Adige, mentre il versante sud è parte del comune di Auronzo di Cadore, in provincia di Belluno, Veneto.

Storia e confini delle Tre Cime

Il confine delle Tre Cime di Lavaredo corre lungo la parete nord fin dal lontano 1752, un dettaglio che aggiunge ulteriore fascino alla storia di questo luogo magico. Queste imponenti formazioni rocciose sono amate da alpinisti di tutto il mondo e rappresentano un vero e proprio paradiso per chi ama l’escursionismo e l’alta montagna.

Escursioni per tutti: dal Rifugio Auronzo alla Forcella Lavaredo

Non è necessario essere esperti alpinisti per apprezzare la bellezza delle Tre Cime. L’escursione classica inizia dal Rifugio Auronzo (2.320 m), da dove si gode di un panorama mozzafiato su Auronzo di Cadore, il lago di Misurina e le altre maestose montagne circostanti. Il sentiero 101, ampio e facilmente percorribile, conduce prima a una piccola chiesetta dedicata a Maria Ausiliatrice e poi al Rifugio Lavaredo (2.344 m).

La vista spettacolare dalla Forcella Lavaredo

Dalla Forcella Lavaredo (2.454 m), si apre una vista indimenticabile sulle Tre Cime e sulle montagne che le circondano, come il Monte Rudo, la Torre dei Scarperi e il Monte Paterno. Proseguendo, si arriva al Rifugio Locatelli, da dove si possono ammirare l’Alpe dei Piani e i due Laghi dei Piani, oltre alla Valle Sassovecchio che scende verso la Val Fiscalina.

Come raggiungere le Tre Cime di Lavaredo

Per accedere all’area delle Tre Cime, ci sono diversi sentieri che partono dalla valle, ma è anche possibile salire in auto o in autobus dal Lago di Misurina fino al Rifugio Auronzo. La strada per il rifugio è a pedaggio (25€ per auto ogni 24 ore), ma il costo include anche il parcheggio, permettendo di godere di una delle escursioni più spettacolari delle Dolomiti.

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Bratislava di notte

Flash da Bratislava

Bratislava è la più piccola delle quattro capitali d’Europa bagnate dal Danubio. Le altre sono Vienna, Budapest, Belgrado.

E’ la capitale della Slovacchia, nata nel 1993 dalla separazione pacifica della Cecoslovacchia e che dette vita alla Repubblica Ceca e alla Slovacchia stessa.

Si trova a breve distanza dal confine con Austria e Ungheria.

Con i suoi 500.000 abitanti è il centro catalizzatore di uno sviluppo economico ininterrotto, con la piena occupazione che attira continuamente persone dalla parte meno sviluppata nell’Est della Slovacchia.

Il piccolo centro storico è un gioiello di architettura medioevale e di piacevole vivibilità ed è sorvegliato da un possente castello che è il simbolo della città.

La parte più antica si sviluppa attorno a sole due piazze: Hlavne namestie (quella principale) e Hviezdoslavovo namestie (dal nome di un famoso poeta slovacco).

È una meta turistica in crescita, spesso combinata con la visita di Vienna, magari con una mini-crociera sul Danubio.

Caduto il Grande Impero di Moravia, la Slovacchia appartenne al Regno di Ungheria dal X secolo fino alla fine della Prima Guerra Mondiale, quando il Trattato di Trianon diede la Slovacchia alla costituenda Cecoslovacchia.

Bratislava svolse un ruolo importante nel Regno di Ungheria per molti. Ne fu la capitale (1536-1784), la città dell’incoronazione (1563-1830) e la sede della dieta (1536-1848).

Città con storia antica, mostra bene la complessità delle vicende storiche in questa parte d’Europa.

Se oggi la popolazione di Bratislava è fatta per lo più da slovacchi, va ricordato come per centinaia d’anni (dal XIII alla fine del XIX secolo), il maggiore gruppo etnico della città era composto da tedeschi seguiti da ungheresi, (nel 1910, il 42% erano tedeschi, il 41% ungheresi ed il 15% slovacchi su una popolazione di 78.000 abitanti).

Dopo la prima guerra mondiale molti tedeschi ed ungheresi si trasferirono in Austria ed Ungheria rispettivamente, ed i tedeschi rimasti furono espulsi alla fine della seconda guerra mondiale.

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Paella a Montorso

Festa di “Gato Magnao?” a Villa da Porto a Montorso

Gato Magnao?” è una pagina Facebook (https://www.facebook.com/groups/gato.magnao) con oltre 4.000 membri che si occupa di cibo cucinato, condiviso con gli amici, fotografato.

Prevale la cucina della tradizione locale vicentina, orgogliosamente rivendicata.

Ma il cibo, come spesso succede, è solo l’occasione per stare assieme ed apprezzare la vita assieme agli amici.

Nato come pagina Facebook, Gato Magnao? è diventato un gruppo che organizza corsi di formazione sulle tecniche di cucina, serate a tema e la festa annuale che si tiene a Montorso a Villa da Porto.

 

Per chi non ha familiarità con il dialetto vicentino, l’espressione “Gato Magnao?” richiede qualche spiegazione.

In senso letterale “’’ndare a gato magnao” indica i movimenti dei bimbi che ancora non camminano e che si muovono come i gatti, cioè usando sia le braccia che i piedi.

Quindi, in apparenza, nulla che abbia a che fare con il cibo e la cucina.

 

Ma l’espressione gioca sulle ambiguità.

Nel dialetto vicentino “gato”, con una sola “t” è l’espressione dialettale di gatto e “magnao” ha l’assonanza di “magnare”, cioè di mangiare in Italiano.

Considerato che i Vicentini sono considerati “magna gati”, cioè mangiatori di gatti, ecco che l’espressione dà l’impressione gioca su questa simpatica ambiguità apprezzabile solo da chi conosce il dialetto vicentino e l’ “accusa” di essere mangiatori di gatti.

 

Quest’anno la festa di Gato Magnao? si è tenuta il 23 luglio 2016 con oltre 300 partecipanti contenti.

La serata ha proposto un menù “fusion”: dalla paella spagnola al cous-cous nordafricano, dal mojoto centroamericano per arrivare a sopressa vicentina  e formaggio di Altissimo (un po’ di tradizione non guasta!).

 

Le foto provano a narrare l’evento, partendo dal lavoro dei tanti volontari iniziato di prima mattina per arrivare all’evidente apprezzamento degli ospiti per l’ottimo cibo e il piacere di stare assieme.

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Fuochi d'artificio Venezia

Festa del Redentore a Venezia

La festa del Redentore è forse la più amata dai veneziani.

Si tiene alla fine della terza settimana di luglio. Quest’anno è capitata il 16 luglio.

A Venezia non mancano certo manifestazioni e feste (regata storica, carnevale, festa di San Marco, festa della Sensa, Palio delle Repubbliche marinare, Vogalonga, festa delle Marie) che attraggono decine di migliaia di turisti da tutto il mondo e deliziano i residenti.

Però la festa del Redentore è la più attesa con la sua dimensione bifronte tra profano e religioso. Nata per ricordare la fine della terribile pestilenza che, nel 1577, decimò gli abitanti di Venezia, è una celebrazione che sembra aver molto ridimensionato la dimensione religiosa a favore dell’aspetto godereccio e dionisiaco.

Il là viene dato dalla inaugurazione del ponte galleggiante tra le Zattere e la chiesa del Redentore, lungo 333,7 metri.

Per tradizione il ponte viene inaugurato sabato sera alle 19:00 dalle massime autorità civile (una volta il Doge, oggi il sindaco) e religiosa di Venezia, il Patriarca di Venezia.

 

Le loro parole piene di saggezza, peraltro sentite da pochissimi per la pessima amplificazione, sono sembrate solo l’avvio della dimensione ludica con cene e bevute fino al gran finale dei fuochi d’artificio.

I più fortunati cenano ed attendono i fuochi sulle barche ormeggiate nel bacino di San Marco.

Molti altri hanno cenato sulle rive ai due lati del Canale della Giudecca.

 

Il fotografo che cerca una buona posizione per fotografare i fuochi, scopre che la gente è proprio tanta e che lo spazio è poco. Specie sulle rive della Giudecca verso l’Isola di San Giorgio.

E scopre anche che qualcuno ha preso la posizione, con tanto di cavalletto in posizione, già alle 11 del mattino, oltre 12 ore prima che i primi fuochi vengano sparati in cielo.

C’è anche qualche piccola discussione su chi ha diritto a quale posto e su quale debba essere la distanza minima tra i fotografi ammassati in attesa del gran finale.

Ad ingannare l’attesa c’è tempo anche per catturare le luci del tramonto sulla Chiesa della Madonna della Salute e su Palazzo Ducale. Fortuna vuole che le nubi assumano colori caldissimi tra giallo, arancio e rosso, antipasto perfetto per l’affascinante spettacolo dei fuochi d’artificio.

 

I 40 minuti di fuochi sono proprio spettacolari. Le parole non servono a descrivere ciò che va semplicemente visto. Qui in foto ma con il caldo consiglio di trovare modo, prima o poi, di gustare di persona l’intero spettacolo della festa del Redentore a Venezia.

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Chiesa della Madonna della Salute -Venezia

Foto vera o “trucco e parrucco”? Ovvero il difficile rapporto tra una foto e la realtà.

Un visitatore di questo blog, Fortunato Castagna, ha criticato il mio post con alcune foto del Castello di Arzignano. (“Sembrano 2 € falsi praticamente cinesi. Sarà comunque dura trattenerli si rifarà al più presto occhio”).

La sua critica liquidatoria mi spinge a ricordare che vero/falso nella fotografia, specie in quella digitale, è una materia molto scivolosa.

Non può esistere una foto “vera” semplicemente perchè il nostro cervello vede le immagini in modo molto diverso da come le vede il sensore della fotocamera. Anche la migliore fotocamera riproduce una gamma tonale infinitamente inferiore al nostro occhio/cervello.

Inoltre noi non abbiamo il problema del “punto di bianco”, che invece caratterizza i sensori delle fotocamere. Per noi un “rosso” o un “blu” sono tali anche se illuminati da luci ad incandescenza o da una luce al neon.

Ogni foto in formato Jpeg che vediamo è frutto di decisioni del software della nostra fotocamera (se scattiamo in Jpeg) oppure delle decisioni del fotografo durante la conversione dal formato nativo della fotocamera (formato RAW) in Jpeg.

Ogni foto è una interpretazione soggettiva comunque diversa da ciò che pensiamo di avere visto.

Ovviamente la interpretazione della fotocamera con il suo software interno, o quella soggettiva del fotografo, non sono le tavole della legge. Il risultato può piacere o meno, può essere percepito realistico o falso.

Talvolta il trattamento con i vari software, a cominciare dal sempre citato Photoshop, è eccessivo e fastidioso. In particolare alcuni trattamenti spinti con l’HDR rendono immagini che si percepiscono false al limite del fastidioso.

Il risultato può essere più o meno buono ed è oggetto, giustamente, di valutazioni e critiche sempre benvenute.

Come diceva Aristotele: siamo nel regno del “perlopiù” e non della verità.

Di mio posso dire che non amo le correzioni spinte delle immagini. Non mi piace incollare cieli che non c’erano al momento dello scatto.

Mi limito per lo più a regolare il punto di bianco, il contrasto, la saturazione dei colori, la nitidezza finale della foto. Per farlo uso Lightroom e Photoshop.

Sono le attività che qualsiasi fotocamera fa comunque quando si scatta in Jpeg. Io preferisco farmi da solo questo lavoro perché il file in formato RAW contiene molte più informazioni. In questo modo riesco a recuperare più dettagli sia nelle alte luci che nelle ombre ed è molto più veloce la correzione di un punto di bianco eventualmente non corretto.

Un esempio prima/dopo per rendere più chiari i concetti.

La versione originale è quella uscita dalla fotocamera (formato RAW, conversione in Jpeg fatta con Llightroom senza alcuna modifica).

La versione finale è frutto degli aggiustamenti descritti (punto di bianco, contrasto, saturazione colori, nitidezza).

Chiesa della Madonna della Salute -VeneziaVenezia Chiesa della Madonna della Salute al tramonto
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