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Bilbao: il museo Guggenheim ma non solo

Bilbao oltre il “Guggenheim“ grazie al “Guggenheim”

Se uno dice Bilbao viene subito in mente il museo Guggenheim, progettato dall’architetto canadese Frank O. Gehry e completato nel 1997.

Ma Bilbao, grazie alla scelta visionaria e lungimirante di realizzare un edificio e museo così unici, ha fatto della realizzazione del museo Guggenheim l’occasione per una profonda trasformazione e rinascita della città.

Oggi il turista va a Bilbao per ammirare il “Guggenheim” da fuori e al suo interno (anche se il “fuori” è così unico ed eccezionale che rischia di schiacciare le opere pintxos esposte all’interno).

Ma una volta che si trova lì si rende conto di come la creazione del museo abbia avviato un processo di trasformazione e rinascita ella città rendendola un luogo dove si sta proprio bene.

Bilbao città sostenibile

Oggi Bilbao è una città sostenibile da molti punti di vista, in primis quello di un ridotto impatto ambientale grazie alla adozione di soluzioni energeticamente sostenibili e processi non inquinanti. Ed è sostenibile dal punto di vista del traffico cosa non banale considerando la orografia di una città stampata su ripide colline. Impressiona positivamente la separazione dei diversi tipi di flussi di traffico, gli efficientissimi mezzi pubblici, la cura per i pedoni letteralmente coccolati con i percorsi dedicati e gli ascensori per superare i rilevanti dislivelli.

Cibo di ottima qualità dai pintxos ai ristoranti stellati

Bastano pochi giorni per innamorarsi di una città che delizia anche per una qualità del cibo di livello eccelso. Oltre ai numerosi ristoranti stellati, tra il cui il Nerua all’interno del museo Guggenheim, la qualità media dei tanti piccoli ristoranti è ottima. Ma è impossibile non innamorarsi dei tanti bar dove mangiare i pintxos, equivalenti delle tapas del resto della Spagna, dei cicchetti di Venezia e dei smørrebrød danesi.

Dire che sono dei pezzi di pane guarniti non rende l’idea della qualità delle guarnizioni che i bar migliori si sono inventati facendone delle vere e proprie leccornie.

Orgosolo

Murales (e banditi) ad Orgosolo

Un benvenuto un po' particolare ad Orgosolo

Il benvenuto non è dei migliori: quel segnale stradale all’ingresso di Orgosolo (https://goo.gl/maps/HYp8o5woFHbcc5F98) crivellato di colpi di lupara non è certo un invito ad entrare. Così come le decine e decine di carabinieri e di agenti di polizia che girano di continuo per il paese il 3 di agosto a caccia dell’evaso famoso Graziano Mesina. Malgrado i suoi 78 anni, dei quali 40 passati in prigione per rapimenti e omicidio, è tornato ad essere uccel di bosco proprio nelle scorse settimane.

Orgosolo è nota (è famosa? si può dire “famosa”?) per quella che fu l’industria dei rapimenti di persona qualche decennio fa.

 

Oggi però si sale fino ai suoi 620 metri di altitudine, nel cuore della Sardegna montagnosa e brulla per i suoi murales.

Banditismo di un tempo con il suo anziano latitante a ricordare un tempo per fortuna passato e i murales, non hanno, ovviamente, alcuna relazione tra di loro.

Murales famosi in altre città nel mondo

Ho avuto la ventura di godere di altre città e quartieri nel mondo arricchiti di murales.

A Milano se ne trovano nella zona della Stazione Garibaldi nei sottopassi che portano ai binari dei treni e della metropolitana.

A San Francisco (CA-USA) l’intero Mission District (https://goo.gl/maps/TEjrLgjNawPtpMib7) con i suoi murales è diventano una delle attrazioni turistiche più importanti di una città già così ricca di luoghi da vedere e da vivere.

A Linz, in Austria, abbiamo la Open Air Mural Harbor Gallery (https://goo.gl/maps/kAzDw1BnX83owr9U9) con circa 300 Graffiti, alcuni dei quali di dimensioni monumentali, che decorano le facciate delle vecchie costruzioni industriali e degli uffici del porto. Artisti provenienti da circa 30 nazioni hanno trasformato le bellissime zone portuali di Linz in un luogo d’arte.

Unicità di Orgosolo e dei suoi murales

A rendere diverso Orgosolo è la sua piccola dimensione di appena 4.000 abitanti e quindi ben più piccolo del singolo quartiere di Milano, San Francisco, Linz, arricchito di murales.

Orgosolo e murales diventano quindi quasi un tutt’uno, ridefinendo ed arricchendo l’identità dell’intero paese.

Il contrasto tra qualità artistica dei dipinti e la morfologia aspra e spoglia delle colline e montagne intorno al paese, esaltano ancor di più la ricchezza comunicativa e simbolica dei murales.

Lavanda nel delta del Po

La lavanda nel delta del Po

La lavanda nell'isola donzella a cà mello

Proprio dietro l’oasi naturalista di Cà Mello, nel cuore dell’isola Donzella a ridosso della Sacca di Scardovari, trovi questo campo di lavanda, nota di colore nuova in quest’ampia area agricola nel cuore del delta del Po (https://goo.gl/maps/vLoc3W9dY1tqNtTG8).

Miele ai fiori di lavanda

La famiglia Masiero (Claudio e Micaela, con il figlio Enrico) hanno deciso di provare qualcosa di diverso dal solito mais o frumento, per vedere l’effetto che fa.

L’olio essenziale di lavanda ha vari usi e stanno ancora cercando di capire se e quale sbocco economico questa scommessa potrà avere.

Di sicuro produrrà del miele ai fiori di lavanda, grazie alle api che un loro amico apicoltore ha prontamente portato a ridosso del campo di lavanda.

Intanto questo piccola distesa di appena due ettari e mezzo è diventato un fenomeno mediatico che attrae un inaspettato numero di turisti e curiosi anche da lontano.

La lunga fila di auto e camper parcheggiati testimonia un successo tanto inaspettato quanto non proprio gradito.

Figlio che si diverte, madre molto di meno

Enrico, il figlio, pare divertirsi a fronte di questa improvvisa ed inaspettata notorietà: interviste, foto, video su Youtube, persone che chiedono, si informano, incoraggiano.

La madre, più pragmaticamente, esprime il fastidio per la torva di persone che arrivano, si sentono come fossero a casa propria, talvolta disturbando e facendo danni.

E lei ha dovuto, con pazienza, recintare il terreno, mettere cartelli per ricordare le regole da rispettare, a cominciare dall’uso della mascherina. Non tutti rispettano le regole.

Va detto che più di qualche stupido anche in questo caso non manca. I maleducati sono purtroppo dovunque. La sera di venerdì 19 giugno, una disperata Micaela, ripeteva: “Basta, chiudo tutto, non ne posso più, io coltivo la lavanda e non sono qui per accogliere turisti che non ho chiamato ne vorrei ci fossero”.

Non credo che questo giusto sentimento venga attutito dai quattro soldi che i turisti di buon senso e grati per questa insolita attrazione, buttano nel barattolo dove è scritto “Offerta”.

Foto al tramonto e all’alba

Le foto sono state fatte la sera di venerdì 19 giugno, nei brevi intervalli durante i ripetuti temporali del tardo pomeriggio, e la mattina di sabato 20 giugno a partire da 5:00 del mattino.

Purtroppo l’unico nuvolone in un cielo terso ha impedito di fotografare il sorgere del sole sul campo di lavanda alle 5:32. È quanto capita spesso ai fotografi: puoi programmare tutto ma non il tempo atmosferico.

La Montagna Incantata Tomas Mann

Scalata la Montagna Incantata durante il coronavirus

Sentirsi come Hans Castorp ne La Montagna Incantata

Ho finito di scalare la Montagna Incantata di Tomas Mann. C’è voluto il coronavirus per farmi finire di leggere fino in fondo questo libro enorme, considerato tra le 5 opere più importanti della letteratura del primo ‘900. Le altre sono Il Processo di Kafka, L’uomo senza qualità di Musil, Le  Recherche di Proust e l’Ulisse di Joyce. (di passaggio mi manca solo Proust per completare la cinquina).

Ne è valsa la pena. Mi sto sentendo come Hans Castorp, l’anonimo ingegnere protagonista del romanzo, che, entrato nel sanatorio Berghof di Davos solo per una visita al cugino malato di tubercolosi, vi rimane 7 anni.

Il romanzo è uno straordinario affresco di un mondo che si stava dissolvendo e che sarebbe collassato da lì a poco nelle trincee impantanate della prima guerra mondiale dove lo stesso Castorp va a finire.

Chiuso in casa oramai da 7 settimane, vivo il tempo come nel romanzo: in modo indefinito, senza alcuna certezza di quando sarà il “dopo” e, ancor di più, di “come sarà” il dopo. L’unica certezza è che il nostro mondo di prima non ci sarà più.

 

Progetti per la “nuova normalità” dopo il coronavirus

Intanto, come tutti, ho dovuto cambiare il modo di lavorare e di vivere.

Da dimenticare per ora (e per chissà quanto) gli incontri con i colleghi e i clienti nelle capitali della Mittel Europa (Vienna, Praga, Budapest, Bratislava). Video conferenze con colleghi, clienti, partner. Lavoro su progetti per la “nuova normalità”, provando ad immaginare quale potrebbe essere e come provare a creare valore nel mondo che sarà. Aggiornamento e studio continui su ciò che è già diventato ancor più importante di prima: Intelligenza Artificiale, big data, soluzioni per la gestione delle relazioni tra aziende e persone sulla crescente messe di canali digitali che dovremo usare nella lunga fase di distanziamento.

Tempo libero cambiato drammaticamente

Della vita oltre il lavoro è cambiato, drammaticamente, il tempo libero, se si può chiamare il “libero” il tempo speso in quarantena chiusi casa senza gli abbracci di figli e nipotini.

Del poker dei miei hobby (viaggi, cucina, lettura, fotografia) i viaggi sono per ora scomparsi e con la loro scomparsa anche la fotografia viene giocoforza immiserita drammaticamente.

Certo, si mangia sempre a casa (vorrei ben vedere!), si cucina tanto e cose varie. Ma in 3 non ti viene certo voglia di preparare piatti complessi e neppure studiare impiattamenti sofisticati, belli abbastanza da essere fotografati con una qualche ambizione.

Lettura: l'hobby a-fotografico

Ti resta la lettura, un hobby del tutto a-fotografico. La lettura di arricchisce di straordinarie immagini mentali, ti apre nuovi mondi, ti fa viaggiare con la fantasia, crea le condizioni per pensare a come costruire la ”nuova normalità” dopo il coronavirus. Tante cose. Tante ma non immagini per la fotocamera.

 A allora ti inventi di fotografare i libri che stai leggendo, con una bulimia che non conoscevi da tempo, con una velocità di lettura che ti stupisce frutto, forse, di questo allenamento alla lettura fatto di documenti di lavoro in plain English durante il giorno e di testi di narrativa, saggistica, gialli, alla sera e nel fine settimana.

Lavori sulla profondità di campo selettiva, sulle luci, aumenti contrasto e nitidezza, per cercare di dare senso fotografico a libri che, in realtà, stanno arricchendo ulteriormente l’immagine che tu hai del mondo più che le immagini che la fotocamera registra delle copertine di quei libri.

 

Cottura risotto con zucchine

Risotto di zucchine e Coronavirus

Risotto di zucchine e senso del tempo durante Covid-19.

In quarantena da quasi 5 settimane per Covid-19 il tuo mondo in parte si contrae e in parte di espande.

Si contrae perché si riducono le opportunità e quindi le esperienze cui eri abituato. Quella che ti manca di più è l’esperienza dell’abbraccio ai tuoi 7 nipotini ma è in generale che le tue esperienze si riducono drammaticamente chiuso come sei in casa.

Dall’altra si espande perché cambia la tua percezione del tempo.

Il tempo si dilata, o almeno ti da la sensazione di dilatarsi, perché riempito di meno esperienze e quindi sembra non passare mai.

Non c’è modo di pensare al tempo in quanto tale. Lo puoi solo fare in relazione alla densità delle tue esperienze che lo segnano, lo misurano, ti fanno sentire la sua velocità o il suo rallentare.

È quella sensazione del tempo descritta varie volte nella grande letteratura, tra gli altri da Thomas Mann ne “La Montagna Incantata” quando descrive l’esperienza del banale ingegnere Hans Castorp dentro al sanatorio Berghof di Davos. Entrato per una visita al cugino e starci appena 3 settimane, ci passò 7 anni.

La sensazione del tempo che ci da questa quarantena da sani, in perfetta salute, è la stessa che trasmette lo sterminato romanzo di Mann.

Varietà di cibo cucinato e mangiato

Tutta questa premessa per un semplice risotto di zucchine? Sì, perché è proprio attraverso i gesti di una esperienza quotidiana che abbiamo forzatamente cambiato che riusciamo a dare un senso a queste giornate così apparentemente rilassate ma una realtà di profonda inquietudine per un futuro di cui sappiamo solo che non sarà come il passato prima del Covid-19.

Quindi evviva il risotto di zucchine, come evviva la torta di noci, le tagliatelle con il ragù d’anatra, la parmigiana di melanzane, il pane di semola di grano duro con il lievito madre, la pasta alla carbonara, l’amatriciana, il tiramisù, etc, etc.

Sono tutte attività che contribuiscono all’autostima e rafforzano quella qualità oggi così necessaria che è la resilienza.

La varietà del cibo preparato e mangiato funziona come surrogato delle esperienze di lavoro e di vita che oggi non possiamo avere e contribuisce a dare densità e senso al tempo che passiamo in quarantena.

 

Se poi ti capita anche di avere la passione della fotografia, ti crei un piccolo set in cucina e racconti, con le foto, la storia della preparazione del piatto.

Ingredienti e fasi di cottura

Ingredienti: riso Carnaroli, olio extra vergine di oliva, aglio, zucchine, burro, Parmigiano reggiano, brodo di verdure.

Fasi: cottura in padella delle zucchine con olio e aglio, biscottatura del riso con l’olio, cottura del riso, mantecatura con burro e Parmigiano.

Melbourne - Flinders Station con Eureka Tower sullo sfondo

Melbourne: quando andai “down under”.

Melbourne: QUANDO andai “down under”.

L’espressione inglese “down under” è il modo colloquiale con cui ci si riferisce ad Australia e Nuova Zelanda. Essendo noi nell’emisfero Nord e avendo una visione eurocentrica, loro sono “giù”, “sotto”.

Ci sono andato ad aprile del 2011 per una riunione di lavoro di IPN (International Printing Network) che si tenne a Melbourne.

Sono riuscito a ritagliarmi qualche ora per una visita superficiale e fare qualche foto.

Melbourne è la seconda città dell’Australia con i suoi 5 milioni di abitanti e quasi 10.000 Km quadrati di superficie. Già questi numeri fanno capire come, per visitarla seriamente, ci vorrebbero svariati giorni. È uno dei luoghi dove, dopo una toccata e fuga, ti riprometti di tornare dimenticando quanto sia terribilmente lontano.

Una qualità della vita eccellente

Da anni è considerata una delle città in cui la vita è più piacevole: moderna, pulita, con servizi efficienti, con una criminalità irrisoria, con tanto verde pubblico, piena di musei, con Università di prestigio.

Spesso definita la capitale culturale dell’Australia, Melbourne ospita importanti eventi e festival ed è un centro di fama mondiale di sport, musica, teatro, commedia, arte, architettura, letteratura, cinema e televisione.

 

Dal 2011 al 2017 The Economist Intelligence Unit l’ha messa in testa alle città con la migliore qualità della vita nel mondo, in parte anche per la sua ricca vita culturale.

 

Ed è anche ricca e multietnica. Al censimento del 2016 risultò che solo il 63% degli abitanti dell’area della grande Melbourne erano nati in Australia. L’altro 37% è composto da cinesi, indiani, italiani, greci, tedeschi, vietnamiti, olandesi, etc.

La città più europea d’Australia

Non so dire se, come si dice, sia la città più europea d’Australia non avendo visto le altre.

L’impressione che ho avuto conferma il giudizio comune: Melbourne è una città dove un Europeo si sente come a casa.

Anatra alla pechinese in un ristorante a Pechino

Cibo in Cina

Cibo in Cina: leggende e realtà.

Abbiamo sentito in questi giorni dichiarazioni sciocche, fuori luogo, offensive, dannose per gli interessi dell’Italia e del Veneto, da parte del presidente della Regione del Veneto sul fatto che i cinesi mangiano “topi vivi” e sono sporchi. Andasse a fare un giro nella metro di Pechino o si ricordasse la leadership cinese nella telefonia 5G.

Purtroppo è lo specchio di una drammatica inadeguatezza culturale a ricoprire un ruolo di leadership in una Regione che vive di esportazioni, parte crescente delle quali ha proprio la Cina come sbocco, anche per il nostro Prosecco.

Regressione dall’uomo alla scimmia.

Andrebbe letto “Cina” di Henry Kissinger per capire come, invece, si dovrebbe fare.

L’approccio USA alla Cina di Deng Xiaoping partì da uno sforzo di comprensione di quel mondo così diverso dall’Occidente, basato su una cultura e civiltà millenarie di cui anche la Cina comunista è permeata.

Difficile pensare che si possa combinare qualcosa di buono partendo da cliché e pregiudizi.

Al solito arroganza e ignoranza vanno di pari passo.

Da Henry Kissinger a Luca Zaia: verrebbe da dire regressione dall’uomo alla scimmia.

Quasi sempre mangiato bene. Spesso molto bene.

Sono stato 2 volte a Pechino. L’ho girata in bicicletta. Mi sono volutamente perso a piedi in cerca di non so cosa. In più di un caso ho scelto del cibo mettendo il dito dove capitava su un menu scritto in cinese visto che nessuno intorno a me parlava una parola di inglese. In altri casi ho scelto con l’occhio senza sapere di preciso di cosa si trattasse.

Sono stato in ristoranti di livello, ho mangiato cibo di strada nella celebre Wangfujing Street, non mi sono fatto mancare uno degli infiniti ristorantini fuori dai giri turistici che trovi dovunque.

C’è una civiltà culinaria importante, ben più ricca della triste caricatura che troviamo in molti ristoranti cinesi in Italia.

Devo dire che quasi sempre ho mangiato bene, spesso molto bene.

Ricordo, tra gli altri l’ottimo ristorante Quanjude in Qianmen street, vicino a Tienanmen: la pasta ripiena era di livello altissimo e non faceva rimpiangere i migliori tortellini italiani.

Certo, la Cina non è solo Pechino o Shenzen o Shangai. E sterminata. Centinaia di milioni di persone fino ad anni recenti hanno avuto il problema della fame e hanno cercato proteine dove c’erano. Non ci si può stupire che, piuttosto di morire di fame, la gente mangiasse quel che c’era come hanno fatto i nostri nonni e bisnonni.

Maschere al Carnevale di Venezia 2020

Carnevale di Venezia e coronavirus

carnevale venezia 2020

Se Gabriel García Márquez ha scritto quel grande romanzo che è “L’amore al tempo del colera”, noi ci dobbiamo oggi accontentare de “Il Carnevale di Venezia al tempo del coronavirus”. Stavolta non è un romanzo ma una emergenza vera che speriamo si riesca a controllare e che finisca quanto prima.

Non ci sarà il gran finale in Piazza San Marco che era previsto per martedì 27 febbraio.

I primi casi di infezione anche nel Veneto hanno suggerito prudenza. Sono stati cancellati tutti gli eventi che potrebbero diffondere il virus, tra cui la grande festa del martedì grasso a Venezia.

Puntuale alle 7 del mattino in Piazza San Marco

Sono stato al Carnevale sabato 22, cosa che faccio ormai da 10 anni. Sono puntuale in Piazza San Marco intorno alle sette del mattino per sfruttare la luce più bella e la assenza della massa di turisti che, per fortuna, arriva più tardi.

Maschere capolavoro

Condivido alcune delle foto fatte, al solito coloratissime testimonianze della fantasia che porta decine di persone da tutto il mondo ad investire tempo e denaro per stupire curiosi, turisti e fotografi.

Anche quest’anno ci sono state alcune maschere capolavoro che meritano di essere condivise.

Beccacce alla Arzignanese

Beccacce alla Arzignanese

Beccacce alla "arzignanese":una ricetta sublime

Sublime significa molto elevato, superiore. Le beccacce cucinate secondo la tradizionale ricetta alla “arzignanese” sono proprio un piatto sublime.

Arzignano ha il merito di aver perfezionato la ricetta delle beccacce allo spiedo facendole diventare la leccornia che oggi conosciamo.

La ricetta delle beccacce alla “Arzignanese”

Le beccacce vanno spennate e frollate a lungo. Vanno tolte le interiora, pulite, rimesse dentro. Infilzate con cura sui ferri dello spiedo dove vengono cotte per 3 ore mezza/4 con fuoco dolce avendo cura di tenerle bagnate con l’olio e mettendo il sale che serve.

Tolte dai ferri dello spiedo, si rimuovono le interiora che vengo mescolate ad olio crudo e limone creando una salsa che serve ad insaporire le beccacce nel frattempo tagliate a metà.

A questo punto non c’è da cucinarle perché sono già cotte, devono solo essere insaporite a fuoco dolcissimo per 30 minuti.

Il rito della cena con le beccacce

Una cena di beccacce è un rito con menù fisso e rigidamente codificato.

Si parte con “Tajadele con l’ovo fate ‘n casa in brodo coi fegadini” (Tagliatelle fatte in casa all’uovo in brodo con i fegatini).

Le beccacce con “Pan moro da pociare in tel tocio” (Pane nero da inzuppare nel sugo di cottura).

Va masticato e succhiato tutto. Il “tocio” (sugo) ha una ricchezza e complessità di sapori e profumi che incanta.

In un piatto a parte, alla fine “radeceto saltà in tecia col lardo e asedo” (radicchietto saltato in padella con lardo e aceto). Scopo: “sgarbarse la boca” (rinfrescarsi la bocca).

Un vino rosso importante e strutturato accompagna la cena. Un Amarone serio è perfetto.

Claudio Caio Chiomento: il master chef delle beccacce

Difficile che un ristorante la proponga: troppo lunga e difficile da preparare.

Un amico, Claudio Caio Chiomento, sa prepararle in modo sopraffino, avendo imparato da Bepi Parise, figlio di quel Parise che avrebbe inventato la ricetta attuale.

Caio ha affinato negli anni la tecnica mantenendo ferma, immobile, la ricetta tramandata. Le cose perfette non vanno cambiate. Potrebbero solo peggiorare.

Pipe Organ in Royal Opera House in Muscat, Oman

Royal Opera House in Muscat, Oman

RoHM: un regalo del sultano al qaboos

Nei suoi quasi 50 anni di governo, il Sultano Al Qaboos ha trasformato l’Oman da paese arretrato, in larga parte analfabeta, gestito in modo reazionario dal padre da lui deposto con un colpo di Stato incruento, in qualcosa che ha agganciato la modernità e lo sviluppo.

Al Qaboos è mancato nei primi giorni del 2020 ma credo resterà nella memoria e nel cuore dei suoi sudditi per la grande trasformazione che ha guidato.

La Royal Opera House Muscat (in arabo دار الأوبرا السلطانية مسقط) di Mascate (Muscat in inglese) è uno dei suoi lasciti più importanti assieme alla Grande Moschea Al Qaboos. Spesso viene chiamato con semplicemente con l’acronimo ROHM, dalle iniziali del suo nome completo.

È un teatro multiuso situato con una capacità di oltre 1.000 posti costruito tra il 2007 e il 2011 nel quartiere Shati Al-Qurm.

Il complesso è costituito da un teatro per concerti, un auditorium, dei giardini paesaggistici, un mercato culturale con negozi al dettaglio, ristoranti di lusso e un centro d’arte per produzioni musicali, teatrali e operistiche.

Un opulente e sofisticato gioiello

L’opulenza si respira in ogni aspetto: la profusione di marmi pregiati sia all’esterno e all’interno dell’edificio è solo una delle componenti di un così sofisticato gioiello.

Una acustica straordinaria. Un organo a canne movibile che è il secondo più grande al mondo.

Una sofistica soluzione ingegneristica che fa scomparire alcune delle logge e delle prime file di sedie quando serve più spazio per l’orchestra.

Esempio di apertura alle culture del mondo da parte di un paese arabo

Ma a colpire di più, specie il turista occidentale inevitabilmente lambito dai riflessi dei pregiudizi contro la supposta, indistinta, cultura araba e musulmana, è la logica che ha portato Al Qaboos a creare questo centro di cultura.

Come ti spiegano i giovani Omaniti che accompagnano i visitatori del teatro, peraltro con un inglese perfetto anche nella ricchezza delle sfumature del linguaggio, lo scopo è stato quello di consentire agli Omaniti di usufruire di tutte le diverse forme di espressione musicale che possono essere rappresentate provenienti da qualsiasi parte del mondo.

Musica come modo di aprirsi al mondo nelle sue diverse forme. Certo hanno giocato la passione di Al Qaboos per la musica e la sua formazione londinese. Va rimarcato che l’insegnamento che ne ha tratto è che la diversità, a partire dalla musica, è una ricchezza che va condivisa con il suo popolo.

In altri paesi arabi e musulmani le cose sono ben diverse. Constatare questa diversità aiutare a superare tanti pregiudizi nei confronti di culture che è sciocco considerare come un tutt’uno perdendone di vista le differenze.