Chiesa Luterana Hallgrímskirkja, Reykjavik

Reykjavík capitale d’Islanda

Immagina un Paese grande più o meno come il Nord Italia (103.00 Km2 contro 120.000 Km2), con 3,1 abitanti per Km2 (contro i 231,7 del Nord Italia). In tutto sono 323.00 abitanti, dei quali 200.000 vivono nella capitale e nei comuni adiacenti.

Vuol dire che 123.000 abitanti sono dispersi su 100.000 Km2, con una densità di 1,2 abitanti per Km2. Praticamente nulla.

Parliamo di Islanda, metà diventata cool negli ultimi anni. Natura incredibile ed estrema, luce unica e da sogno per i fotografi, grande ospitalità degli islandesi, cultura media decisamente elevata, inglese parlato perfettamente pressoché da tutti. E, last bu not least, una qualità del cibo decisamente eccellente.

Non a caso i turisti sono passati in pochi anni da 200.000 a 1.000.000 all’anno.

In Islanda si va per vedere la natura estrema: aree geo-termali, vulcani, spiagge deserte di sabbia nera lunghe chilometri, geyser, piscine naturali di acqua termale in mezzo al deserto, distese infinite di muschi e licheni, incredibili cascate, una laguna con gli iceberg, uno dei più grandi ghiacciai del mondo.

E poi vai a vedere gli animali: le balene, i tipici cavalli islandesi, la volpe polare, lo sterminato numero di pecore lasciate libere per mesi su distese enormi a brucare il poco che c’è.

Tra i tanti uccelli, la pulcinella di mare (fratercula arctica) è diventata forse il simbolo più noto dell’isola.

 

Reykjavik è la capitale di questa natura unica ed estrema. Giusto la base per partire per i lunghi giri dentro la natura selvaggia. Di solito il turista ci si sta poco, giusto all’arrivo una volta atterrato all’aereporto di Keflavik e il giorno prima di tornare.

 

Le foto della città restituiscono un sentimento di ordine, pulizia, modernità, controllo, prevedibilità, cultura, che cozza duramente con i sentimenti che trasmettono invece le foto della natura estrema che copre il 99% del resto dell’Islanda.

C’è come un necessario contrappasso tra la serena prevedibilità di questa bella cittadina e la dimensione estrema della natura che caratterizza il Paese, l’Islanda, di cui ne è la capitale.

 

Le foto qui raccolte sono state fatte durante 2 dei 4 viaggi fatti in Islanda, rispettivamente nel 2009 e nel 2013.

In entrambi i casi i viaggi sono stati possibili grazie al supporto, alla generosità e all’ospitalità di una persona squisita, un grande amico, quale è Sveinbjorn Hjalmarsson.

Ponte di Rialto

L’ora blu a Venezia

Prima che sorga il sole. Dopo che il sole è tramontato. Per un po’ c’è la magia cromatica chiamata dai fotografi “ora blu”. Diciamo circa un’ora prima e un’ora dopo. Buio ma non buio del tutto. Chiaro ma non abbastanza.

La magia sta in quel colore blu particolare, con venature violacee, che contrasta perfettamente con il colore giallo complementare delle luci artificiali.

L’ora blu non dura un’ora: dipende da stagione e latitudine.

Quanto alla latitudine: più si è vicini all’equatore e più in fretta si passa dalla luce al buio più totale (al tramonto) e dal buio alla luce (all’alba). Tanto più si sale a Nord tanto più il passaggio chiaro/scuro si fa sfumato e dura molto più a lungo.

Stavolta ho voluto provare con alcuni dei luoghi classici di Venezia: Rialto e San Marco nei giorni di Pasqua 2017 (venerdì Santo 14 aprile e sabato mattina 15).

 

La sera ho scelto il Ponte di Rialto. C’è una posizione ideale in Riva del Carbon, subito dopo la sede del Comune in Cà Farsetti (https://goo.gl/maps/psTCFL9BLi32). La vista sul ponte è perfetta e libera.

Il sole tramontava alle 19:55. Le foto migliori sono venute tra le 20:17 e le 20:30.

Mi sono poi spostato sopra il Ponte di Rialto per fotografare il Canal Grande illuminato (20:30).

 

La mattina successiva sveglia da fotografo (4:45) e camminata dalla zona Ferrovia verso Piazza San Marco passando per il Ponte dell’Accademia. Lo stop con foto all’Accademia è stato fatto un po’ troppo presto (5:32) per vedere appieno i colori dell’ora blu. L’obiettivo comunque era la zona di San Marco: piazza, Basilica e Procuratie Nuove (da 5:46 a 5:55).

Finale dalla zona di Ponte Paglia per fotografare, per la milionesima volta, l’isola di San Giorgio e le gondole che stazionano nel bacino di San Marco (da 6:00 a 6:06).

 

Purtroppo il tramonto non s’è visto perché il cielo era coperto di nubi.

 

Risultati così e così. Esperienza da ripetere facendo tesoro di quanto imparato.

Libri, gondola, Libreria Acqua Alta , Venezia

Libreria Acqua Alta: un unicum in una città unica

Solo una dose di pazzia consente di fare grandi cose.

Non c’è dubbio che Luigi Frizzo ci sia riuscito creando la libreria Acqua Alta (Venezia, Campiello del Tintor in Calle Lunga Santa Maria Formosa, 5176, https://goo.gl/maps/WpepcDTJEb82).

Definita dalla BBC una delle 10 più belle librerie del mondo, è un qualcosa di unico in quella unicità che è Venezia.

I libri in vendita sono messi dentro a vasche da bagno, ad una gondola, ad una carriola. Prevalgono i libri usati ma c’è anche una buona selezioni di libri nuovi.

Quelli che non sono più in vendita, sono usati per costruire la scala che consente di salire sul muro di cinta ed ammirare il canale adiacente.

L’effetto di spiazzamento è totale.

In spazi angusti si muovono tanti curiosi e turisti che facilmente diventano anche clienti, un po’ per la gratitudine di aver creato un luogo così unico, ma anche perché si trovano libri difficili da trovare altrove.

 

Pazzia si diceva. In realtà la storia di Luigi Frizzo è la storia di una vita fatta di una incredibile apertura alle più varie esperienze di vita: minatore, guida turistica, croupier, carrozziere, guardia forestale, libraio. Non si è fatto mancare l’esperienza di lavoro sulle navi da crociera.

Vicentino di nascita, da Trissino, ha viaggiato e vissuto in tanti posti (Valle d’Aosta, Germania, Australia, Nuova Zelanda, Tahiti) e ha avuto 3 figli da 3 donne diverse.

Con queste storie così sradicate, 12 anni fa ha messo radici, per così dire, a Venezia, in un luogo che unisce la sua magia ed unicità all’idea stessa di viaggiare in cerca di destinazioni altre in una incessante apertura al mondo.

Venezia sta lì a dirci come solo gli sciocchi possano vedere un conflitto tra la rivendicazione delle proprie radici e l’apertura alle varie culture e tradizioni del mondo.

Murales a Mission District – San Francisco

Arrivi alle 6:30 di un sabato mattina a Mission Distric, il primo insediamento urbano di San Francisco, per vedere se è vero che è proprio una galleria d’arte all’aria aperta come tutti dicono.

L’esperienza eccede ogni aspettativa.

Lungo Balmy Alley, Valencia Street, Mission Street, Clarion Alley, Harrison Street, e le molte altre, ti trovi di fronte ad una fantasmagoria di murale vivaci. Molti di loro sono vere e proprie opere d’arte che giustificherebbero da sole la visita a San Francisco.

Il quartiere non è esattamente uno dei quartieri dove sentirsi più tranquilli, almeno in alcune sue parti. I segni della povertà e del degrado sono evidenti e cozzano ancor più considerando quanto San Francisco sia una delle città più ricche da tutti i punti di vista degli USA (economico, culturale, di bellezze naturali).

In tutto il quartiere sono centinaia i muri e le recinzioni decorati con opere d’arte variopinte. I temi vanno dal patrimonio culturale alle dichiarazioni politiche e sociali.

La collezione di dipinti murali riflette una varietà di stili artistici e spesso raffigura temi di inclusione sociale.

La prima apparizione di murales prima in Balmy Alley avviene a metà degli anni 1980 come espressione di indignazione per i diritti umani e di abusi politici in America centrale.

Oggi, i temi si sono ampliati per includere i temi connessi con la violazioni dei diritti umani, gentrification e l’uragano Katrina.

La visita va fatta rigorosamente a piedi, passeggiando nelle strade e stradine, entrando anche nei vicoletti che fanno scoprire alcune delle opere (perché di opere vere e proprie si tratta) più belle.

Una menzione a parte merita “The women’s building” (“a safe place for women”) sia per il suo significato che per la incredibile qualità delle opere d’arte che sono i murales che la decorano.

The women’s building” è riconosciuto a livello mondiale per la sua MaestraPeace murale, che onora il contributo delle donne di tutto il mondo. Dipinta nel 1994 su due pareti, questo murale è il risultato di un lavoro multi-culturale con la collaborazione di sette donne artiste di diverse generazioni.

Bratislava di notte

Flash da Bratislava

Bratislava è la più piccola delle quattro capitali d’Europa bagnate dal Danubio. Le altre sono Vienna, Budapest, Belgrado.

E’ la capitale della Slovacchia, nata nel 1993 dalla separazione pacifica della Cecoslovacchia e che dette vita alla Repubblica Ceca e alla Slovacchia stessa.

Si trova a breve distanza dal confine con Austria e Ungheria.

Con i suoi 500.000 abitanti è il centro catalizzatore di uno sviluppo economico ininterrotto, con la piena occupazione che attira continuamente persone dalla parte meno sviluppata nell’Est della Slovacchia.

Il piccolo centro storico è un gioiello di architettura medioevale e di piacevole vivibilità ed è sorvegliato da un possente castello che è il simbolo della città.

La parte più antica si sviluppa attorno a sole due piazze: Hlavne namestie (quella principale) e Hviezdoslavovo namestie (dal nome di un famoso poeta slovacco).

È una meta turistica in crescita, spesso combinata con la visita di Vienna, magari con una mini-crociera sul Danubio.

Caduto il Grande Impero di Moravia, la Slovacchia appartenne al Regno di Ungheria dal X secolo fino alla fine della Prima Guerra Mondiale, quando il Trattato di Trianon diede la Slovacchia alla costituenda Cecoslovacchia.

Bratislava svolse un ruolo importante nel Regno di Ungheria per molti. Ne fu la capitale (1536-1784), la città dell’incoronazione (1563-1830) e la sede della dieta (1536-1848).

Città con storia antica, mostra bene la complessità delle vicende storiche in questa parte d’Europa.

Se oggi la popolazione di Bratislava è fatta per lo più da slovacchi, va ricordato come per centinaia d’anni (dal XIII alla fine del XIX secolo), il maggiore gruppo etnico della città era composto da tedeschi seguiti da ungheresi, (nel 1910, il 42% erano tedeschi, il 41% ungheresi ed il 15% slovacchi su una popolazione di 78.000 abitanti).

Dopo la prima guerra mondiale molti tedeschi ed ungheresi si trasferirono in Austria ed Ungheria rispettivamente, ed i tedeschi rimasti furono espulsi alla fine della seconda guerra mondiale.

Fuochi d'artificio Venezia

Festa del Redentore a Venezia

La festa del Redentore è forse la più amata dai veneziani.

Si tiene alla fine della terza settimana di luglio. Quest’anno è capitata il 16 luglio.

A Venezia non mancano certo manifestazioni e feste (regata storica, carnevale, festa di San Marco, festa della Sensa, Palio delle Repubbliche marinare, Vogalonga, festa delle Marie) che attraggono decine di migliaia di turisti da tutto il mondo e deliziano i residenti.

Però la festa del Redentore è la più attesa con la sua dimensione bifronte tra profano e religioso. Nata per ricordare la fine della terribile pestilenza che, nel 1577, decimò gli abitanti di Venezia, è una celebrazione che sembra aver molto ridimensionato la dimensione religiosa a favore dell’aspetto godereccio e dionisiaco.

Il là viene dato dalla inaugurazione del ponte galleggiante tra le Zattere e la chiesa del Redentore, lungo 333,7 metri.

Per tradizione il ponte viene inaugurato sabato sera alle 19:00 dalle massime autorità civile (una volta il Doge, oggi il sindaco) e religiosa di Venezia, il Patriarca di Venezia.

 

Le loro parole piene di saggezza, peraltro sentite da pochissimi per la pessima amplificazione, sono sembrate solo l’avvio della dimensione ludica con cene e bevute fino al gran finale dei fuochi d’artificio.

I più fortunati cenano ed attendono i fuochi sulle barche ormeggiate nel bacino di San Marco.

Molti altri hanno cenato sulle rive ai due lati del Canale della Giudecca.

 

Il fotografo che cerca una buona posizione per fotografare i fuochi, scopre che la gente è proprio tanta e che lo spazio è poco. Specie sulle rive della Giudecca verso l’Isola di San Giorgio.

E scopre anche che qualcuno ha preso la posizione, con tanto di cavalletto in posizione, già alle 11 del mattino, oltre 12 ore prima che i primi fuochi vengano sparati in cielo.

C’è anche qualche piccola discussione su chi ha diritto a quale posto e su quale debba essere la distanza minima tra i fotografi ammassati in attesa del gran finale.

Ad ingannare l’attesa c’è tempo anche per catturare le luci del tramonto sulla Chiesa della Madonna della Salute e su Palazzo Ducale. Fortuna vuole che le nubi assumano colori caldissimi tra giallo, arancio e rosso, antipasto perfetto per l’affascinante spettacolo dei fuochi d’artificio.

 

I 40 minuti di fuochi sono proprio spettacolari. Le parole non servono a descrivere ciò che va semplicemente visto. Qui in foto ma con il caldo consiglio di trovare modo, prima o poi, di gustare di persona l’intero spettacolo della festa del Redentore a Venezia.

Chiesa della Madonna della Salute -Venezia

Foto vera o “trucco e parrucco”? Ovvero il difficile rapporto tra una foto e la realtà.

Un visitatore di questo blog, Fortunato Castagna, ha criticato il mio post con alcune foto del Castello di Arzignano. (“Sembrano 2 € falsi praticamente cinesi. Sarà comunque dura trattenerli si rifarà al più presto occhio”).

La sua critica liquidatoria mi spinge a ricordare che vero/falso nella fotografia, specie in quella digitale, è una materia molto scivolosa.

Non può esistere una foto “vera” semplicemente perchè il nostro cervello vede le immagini in modo molto diverso da come le vede il sensore della fotocamera. Anche la migliore fotocamera riproduce una gamma tonale infinitamente inferiore al nostro occhio/cervello.

Inoltre noi non abbiamo il problema del “punto di bianco”, che invece caratterizza i sensori delle fotocamere. Per noi un “rosso” o un “blu” sono tali anche se illuminati da luci ad incandescenza o da una luce al neon.

Ogni foto in formato Jpeg che vediamo è frutto di decisioni del software della nostra fotocamera (se scattiamo in Jpeg) oppure delle decisioni del fotografo durante la conversione dal formato nativo della fotocamera (formato RAW) in Jpeg.

Ogni foto è una interpretazione soggettiva comunque diversa da ciò che pensiamo di avere visto.

Ovviamente la interpretazione della fotocamera con il suo software interno, o quella soggettiva del fotografo, non sono le tavole della legge. Il risultato può piacere o meno, può essere percepito realistico o falso.

Talvolta il trattamento con i vari software, a cominciare dal sempre citato Photoshop, è eccessivo e fastidioso. In particolare alcuni trattamenti spinti con l’HDR rendono immagini che si percepiscono false al limite del fastidioso.

Il risultato può essere più o meno buono ed è oggetto, giustamente, di valutazioni e critiche sempre benvenute.

Come diceva Aristotele: siamo nel regno del “perlopiù” e non della verità.

Di mio posso dire che non amo le correzioni spinte delle immagini. Non mi piace incollare cieli che non c’erano al momento dello scatto.

Mi limito per lo più a regolare il punto di bianco, il contrasto, la saturazione dei colori, la nitidezza finale della foto. Per farlo uso Lightroom e Photoshop.

Sono le attività che qualsiasi fotocamera fa comunque quando si scatta in Jpeg. Io preferisco farmi da solo questo lavoro perché il file in formato RAW contiene molte più informazioni. In questo modo riesco a recuperare più dettagli sia nelle alte luci che nelle ombre ed è molto più veloce la correzione di un punto di bianco eventualmente non corretto.

Un esempio prima/dopo per rendere più chiari i concetti.

La versione originale è quella uscita dalla fotocamera (formato RAW, conversione in Jpeg fatta con Llightroom senza alcuna modifica).

La versione finale è frutto degli aggiustamenti descritti (punto di bianco, contrasto, saturazione colori, nitidezza).

Chiesa della Madonna della Salute -VeneziaVenezia Chiesa della Madonna della Salute al tramonto
Giostra al luna park

Al luna park senza la gente

Le giostre del luna park mantengono sempre il loro fascino.

Con i suoi colori, rumori, luci, profumi, il luna park è ancora un luogo dove passare qualche ora con i bimbi ma anche dove i ragazzi e le ragazze fanno “struscio” per incontrarsi e divertirsi.

Vi sono giostre che ti fanno girare, saltare, cadere dall’altro, entrare in spazi oscuri, subire accelerazioni. Il divertimento assume le forme più varie su autoscontri, giri della morte, ruote panoramiche, giostre degli specchi, calcinculo e tante altre invenzioni per farci divertire.

Tra l’altro una delle principali aziende al mondo che fabbrica giostre, la Zamperla, ha la sede poco fuori Vicenza, ad Altavilla. Qui sono sono state progettate alcune delle giostre di maggior successo utilizzate nei più famosi luna park del mondo: da Coney Island a New York al Tivoli di Copenhagen, da Mirabilandia agli Universal Studios di Singapore.

A Vicenza c’è una tradizione di lunga data con il luna park temporaneo a Campo Marzo in occasione della festa della Madonna di Monte Berico l’8 settembre di ogni anno. È una attrazione che attrae decine di migliaia di persone da tutta le provincia.

 

Le foto qui riportate sono state scattate al primo mattino di un sabato, quando la gente a Campo Marzo ancora non c’era.

Fa un certo effetto vedere le giostre senza gente, quasi che stessero riposando preparandosi a ricevere la moltitudine che da lì a qualche ora si sarebbe riversata su di loro.

Castello di Arzignano

Il Castello di Arzignano

Il Castello è senza dubbio il simbolo di Arzignano, cittadina veneta in provincia di Vicenza.

Dal colle di Santa Maria, che divide le valli dell’Agno e del Chiampo, domina la conca dell’Agno-Chiampo su cui si affacciano anche i castelli di Montebello e Montecchio Maggiore.

Per un arzignanese come me, è naturale usarlo come soggetto fotografico.

Diverse stagioni, diversi orari del giorno, diverse condizioni di luce, diverse posizioni, diversi obiettivi fotografici.

Rivedere dopo anni lo stesso soggetto, il Castello, sotto le diverse prospettive in cui lo hai visto nel tempo fa sempre un certo effetto.

Con una assonanza forse un po’ tirata, mi ricorda il romanzo di Franz Kafka che tanto ho amato da ragazzo, Il Castello appunto, in cui l’agrimensore K non riesce ad entrare malgrado i suoi innumerevoli tentativi.

Per analogia mi vien da dire che non sono ancora riuscito a prendere l’immagine che renda appieno il senso di questo mio Castello. Vorrà dire che questo sforzo continuerà ancora a lungo.

Cattedrale San Vito all'imbrunire Praga

Metti una sera su Ponte Carlo a Praga

Il ponte Carlo (in ceco Karlův most) è forse la attrazione più famosa di Praga con i suoi artisti di strada, musicisti, venditori di souvenir, e il continuo fluire di turisti a tutte le ore del giorno e della notte.

Costruito in pietra sopra la Moldava, unisce il quartiere di Malá Strana con la Città Vecchia.

Completato nel 1402, è lungo 515 metri, largo 10, ed è delimitato da 2 torri di fortificazione.

Un leggenda racconta che tuorli d’uovo furono aggiunti all’impasto della malta per rendere più solida la sua costruzione.

Ai due lati è oggi adornato da 30 statue barocche di santi, messe lì a partire dal XVII secolo per volere dei Gesuiti.

 

Questa è stata la prima volta che mi è capitato di visitarlo al crepuscolo, per lo più dopo un forte temporale che ha pulito l’aria creando condizioni perfette per fare qualche bella foto.

 

Ponte Carlo in sé è un’attrazione da fotografare, con le sue torri, statue e le persone che lo popolano.

Ma è anche una bella posizione per qualche scatto intrigante sul Castello e la cattedrale di San Vito,  nonché sugli edifici ai lati della Moldava illuminati dalle residua luce del crepuscolo e dalle luci artificiali.