Ghepardo

Il mio primo safari (fotografico)

Il mio primo ed unico safari fotografico in Africa è stato a Inverdoorn nel Karoo (https://goo.gl/maps/NLTHd6TV7L32), a 2,5 ore di macchina da Città del Capo.

È stata una bella esperienza in un luogo in mezzo al nulla, a 60 Km da Ceres, il centro abitato più vicino.

In una zona semidesertica è stata creata un’area protetta di 10.000 ettari sulle ceneri della seconda più grande azienda agricola di frutta secca del sud del Mondo. A seguito di una siccità iniziata nel 1962 e durata 10 anni, Inverdoorn era diventata, da grande azienda agricola, la zona semidesertica che vediamo oggi.

È la storia di una natura che, in Sudafrica come in tante altre parti del mondo, si riprende con gli interessi ciò che una antropizzazione selvaggia le aveva portato via.

Ecosistemi locali sconvolti, massacro degli animali selvaggi perché dannosi per le colture frutticole e l’allevamento.

E la natura che si è ripresa ciò che era suo facendo di Inverdoorn nel 1994 una distesa arida e senza vita.

E qui entrano in gioco Jean-Michel e Cathy Vergnaud che, spinti dal loro profondo amore per la fauna selvatica e l’impegno per la sua conservazione, comprano la proprietà per ripristinare Inverdoorn nel suo antico splendore con una brulicante fauna selvatica di tutti i tipi.

 

Oggi qui vivono oggi leoni, ghepardi, elefanti, zebre, gnu, bufali, leopardi, giraffe, rinoceronti bianchi, ippopotami, gazzelle, antilopi, moltissime specie di uccelli, cobra.

 

In molti casi si tratta di pochissimi soggetti per singola specie, soggetti per lo più “disagiati” come il leone maschio che era stato allevato in cattività con il solo scopo di diventare trofeo di caccia.

 

Al centro della tenuta c’è una sistemazione di lusso per i visitatori: cibo e servizio sono più che eccellenti. Il servizio non è economico ma del tutto giustificato data la sua ottima qualità. Per saperne di più: http://www.inverdoorn.com.

Lio Piccolo nella Laguna Nord di Venezia

Cavallino Treporti, Lio Piccolo – laguna nord di Venezia

Lio Piccolo è un paradiso naturalistico nella laguna Nord di Venezia (https://goo.gl/maps/auoqgmBbX7v) per amanti della natura e fotografi.

Si trova nel Comune di Cavallino-Treporti.

Insieme a Burano, da cui dipendeva, Cavallino-Treporti venne inglobato nel Comune di Venezia nel 1923 per tornare poi autonomo nel 1999 a seguito di referendum.

Oltre a Lio Piccolo comprende varie frazioni tra cui insieme, Ca’Ballarin, Ca’Pasquali, Ca’Vio, Ca’Savio, Treporti, Mosele e Punta Sabbioni.

 

Ci si arriva in auto passando da Jesolo, oppure via acqua con il vaporetto da Venezia con arrivo a Punta Sabbioni. La bicicletta è il mezzo ideale per spostarsi lungo le strette stradine in mezzo ai canali delle valli da pesca e nelle paludi della laguna.

 

Attualmente è praticamente disabitato, solo alcuni abitanti nelle varie case sparse e nell’agriturismo.

L’attività è prevalentemente agricola: neglio orti si coltivano, tra l’altro, le famose castraùre (il primo germoglio del carciofo violetto) e le zizołe (giuggiole).  È rimasto solo qualche casone isolato, in un paesaggio fatto di canali, zone di barena e valli da pesca.

 

A ricordo di un inurbamento più significativo ci sono gli edifici nella Piazzetta del Borgo: chiesetta dedicata a Santa Maria della Neve e Palazzetto Boldù.

 

Oltre ad un esercito di zanzare, attivo tutto l’anno anche a dispetto della più robusta dose di Autan, la zona lagunare di Lio Piccolo è un’area con una estesa presenza di molte specie di uccelli sia stanziali che migratori.

Negli ultimi anni anche i fenicotteri rosa hanno scelto l’area per le proprie soste.

Si trovano aironi bianchi (garzette), aironi cinerini e aiorni rossi oltre a chiurli, cavalieri d’Italia, gabbiani reali, anatre, upupa, gruccioni, passeracei, occhioni, pettegole, pantane, fagiani, marangoni minori, e molti altri.

 

Malgrado una presenza veramente numerosa di tante specie di uccelli, riuscire a fotografarli bene non è affatto semplice.

Il suggerimento è quello di fotografare dall’auto, con il tele-obiettivo più lungo che ci si può permettere, parcheggiando nelle numerose piazzole di sosta lungo le stradine tra i canali.

 

Dicono non serva mimetizzare l’auto, dato che gli uccelli sono abituati al passaggio di mezzi motorizzati.

La mia esperienza è diversa ed è che è veramente difficile riuscire a fare delle belle foto nitide con gli uccelli che riempiano lo schermo.

L’impressione è che conoscano le misure dei vari teleobiettivi e che si allontanino in proporzione in modo tale da rendere difficile poterli riprendere come si vorrebbe.

Malgrado un Canon 100-400mm, un moltiplicatore di focale 1,4x e un corpo macchina di piccolo formato che comporta un ulteriore ingrandimento di 1,6x per una lunghezza focale di 896 mm, non è stato facile.

Le foto qui inserite sono le (poche) accettabili. Di sicuro c’è ancora tanto da imparare, a cominciare dal fatto che ci vuole pazienza, tanta pazienza, e rispetto per i ritmi della natura.

In ogni caso, malgrado la difficoltà di ottenere le foto desiderate degli uccelli, la bellezza della natura ha consentito di avere altre belle foto che hanno remunerato la levataccia mattutina.

Mostra fotografica Enzo Marchesini ad Arzignano

Mostra fotografica di Enzo Marchesini

 La Mostra fotografica di Enzo Marchesini in Biblioteca Civica ad Arzignano (Vicolo Marconi, 6) è da vedere.

Inaugurata il 16 settembre scorso, chiude il prossimo 3 ottobre).

Enzo è un fotografo amatoriale che fa belle foto da qualche decennio.

Ricordo con gratitudine una sua foto a mia figlia Silvia che, bambinetta, provava il suo primo triciclo. Lei aveva 2 anni e quindi parliamo di 36 anni fa.

Questa consuetudine ed amicizia di lunga data consentono forse un giudizio equilibrato tra il molto di bello che c’è nella mostra e quello che può essere migliorato.

Molte foto sono belle. Alcune sono veramente molto belle.

Grazie Enzo per avermele messe a disposizione e consentirmi di pubblicarle sul mio blog.

In assoluto quella che mi è piaciuta di più è la “Bicicletta al matrimonio”. Ho voluto usarla come copertina di questo post perché rappresenta il tipo di fotografia che mi piacerebbe aver fatto io (e che quindi prendo come fonte di ispirazione).

Belle sono le foto delle cupole a cipolla delle chiese bizantine e degli edifici modernisti, bella è la classica vista di Oja a Santorini, belli sono i paesaggi bucolici della alta Valle del Chiampo, cosi come altri soggetti.

Un buon numero delle foto esposte fa il suo dovere: trasmette delle emozioni. Si fa ricordare con piacere. Non vale per tutte. Diciamo che, forse, era meglio limitare il numero delle foto esposte per dare più forza comunicativa alle tante belle foto senza attutirne l’impatto con altre non della stessa qualità.

Non avrebbe guastato descrivere le foto. Alcuni soggetti sono auto-esplicativi così come alcuni luoghi si riconoscono facilmente. Altri no. In particolare non ho capito, per mia ignoranza, dove fossero alcuni degli edifici moderni così ben fotografati.

Indicare in calce alle singole foto luoghi, date, nomi evocativi della sensazione che quella foto ha prodotto nel fotografo, aiuterebbe anche l’osservatore a capire meglio ciò che sta guardando.

Infine una notazione tecnica: in più di un caso le foto non hanno abbastanza dettaglio nelle ombre. Guardandole pensavo a difetti di esposizione o ad un post-processing non adeguato.

Avendo avuto la fortuna (grazie Enzo per la cortesia) di ricevere i file originali, ho visto che contrasto e dettaglio sono corretti. C’è un quindi uno specifico problema di qualità di stampa, in particolare nelle ombre. La prossima volta sarà meglio scegliere qualcuno in grado di valorizzare meglio la qualità delle foto.

In conclusione: andate a visitare la mostra. Complimenti alla Biblioteca di Arzignano per averla organizzata. Spero altri fotoamatori vorranno esporre nel prossimo futuro i risultati della propria passione per la fotografia.

 

Post-scriptum: tutte le foto di questo post sono di Enzo Marchesini (https://www.flickr.com/photos/skyebasta/)

Murales a Mission District – San Francisco

Arrivi alle 6:30 di un sabato mattina a Mission Distric, il primo insediamento urbano di San Francisco, per vedere se è vero che è proprio una galleria d’arte all’aria aperta come tutti dicono.

L’esperienza eccede ogni aspettativa.

Lungo Balmy Alley, Valencia Street, Mission Street, Clarion Alley, Harrison Street, e le molte altre, ti trovi di fronte ad una fantasmagoria di murale vivaci. Molti di loro sono vere e proprie opere d’arte che giustificherebbero da sole la visita a San Francisco.

Il quartiere non è esattamente uno dei quartieri dove sentirsi più tranquilli, almeno in alcune sue parti. I segni della povertà e del degrado sono evidenti e cozzano ancor più considerando quanto San Francisco sia una delle città più ricche da tutti i punti di vista degli USA (economico, culturale, di bellezze naturali).

In tutto il quartiere sono centinaia i muri e le recinzioni decorati con opere d’arte variopinte. I temi vanno dal patrimonio culturale alle dichiarazioni politiche e sociali.

La collezione di dipinti murali riflette una varietà di stili artistici e spesso raffigura temi di inclusione sociale.

La prima apparizione di murales prima in Balmy Alley avviene a metà degli anni 1980 come espressione di indignazione per i diritti umani e di abusi politici in America centrale.

Oggi, i temi si sono ampliati per includere i temi connessi con la violazioni dei diritti umani, gentrification e l’uragano Katrina.

La visita va fatta rigorosamente a piedi, passeggiando nelle strade e stradine, entrando anche nei vicoletti che fanno scoprire alcune delle opere (perché di opere vere e proprie si tratta) più belle.

Una menzione a parte merita “The women’s building” (“a safe place for women”) sia per il suo significato che per la incredibile qualità delle opere d’arte che sono i murales che la decorano.

The women’s building” è riconosciuto a livello mondiale per la sua MaestraPeace murale, che onora il contributo delle donne di tutto il mondo. Dipinta nel 1994 su due pareti, questo murale è il risultato di un lavoro multi-culturale con la collaborazione di sette donne artiste di diverse generazioni.

Chiesa della Madonna della Salute -Venezia

Foto vera o “trucco e parrucco”? Ovvero il difficile rapporto tra una foto e la realtà.

Un visitatore di questo blog, Fortunato Castagna, ha criticato il mio post con alcune foto del Castello di Arzignano. (“Sembrano 2 € falsi praticamente cinesi. Sarà comunque dura trattenerli si rifarà al più presto occhio”).

La sua critica liquidatoria mi spinge a ricordare che vero/falso nella fotografia, specie in quella digitale, è una materia molto scivolosa.

Non può esistere una foto “vera” semplicemente perchè il nostro cervello vede le immagini in modo molto diverso da come le vede il sensore della fotocamera. Anche la migliore fotocamera riproduce una gamma tonale infinitamente inferiore al nostro occhio/cervello.

Inoltre noi non abbiamo il problema del “punto di bianco”, che invece caratterizza i sensori delle fotocamere. Per noi un “rosso” o un “blu” sono tali anche se illuminati da luci ad incandescenza o da una luce al neon.

Ogni foto in formato Jpeg che vediamo è frutto di decisioni del software della nostra fotocamera (se scattiamo in Jpeg) oppure delle decisioni del fotografo durante la conversione dal formato nativo della fotocamera (formato RAW) in Jpeg.

Ogni foto è una interpretazione soggettiva comunque diversa da ciò che pensiamo di avere visto.

Ovviamente la interpretazione della fotocamera con il suo software interno, o quella soggettiva del fotografo, non sono le tavole della legge. Il risultato può piacere o meno, può essere percepito realistico o falso.

Talvolta il trattamento con i vari software, a cominciare dal sempre citato Photoshop, è eccessivo e fastidioso. In particolare alcuni trattamenti spinti con l’HDR rendono immagini che si percepiscono false al limite del fastidioso.

Il risultato può essere più o meno buono ed è oggetto, giustamente, di valutazioni e critiche sempre benvenute.

Come diceva Aristotele: siamo nel regno del “perlopiù” e non della verità.

Di mio posso dire che non amo le correzioni spinte delle immagini. Non mi piace incollare cieli che non c’erano al momento dello scatto.

Mi limito per lo più a regolare il punto di bianco, il contrasto, la saturazione dei colori, la nitidezza finale della foto. Per farlo uso Lightroom e Photoshop.

Sono le attività che qualsiasi fotocamera fa comunque quando si scatta in Jpeg. Io preferisco farmi da solo questo lavoro perché il file in formato RAW contiene molte più informazioni. In questo modo riesco a recuperare più dettagli sia nelle alte luci che nelle ombre ed è molto più veloce la correzione di un punto di bianco eventualmente non corretto.

Un esempio prima/dopo per rendere più chiari i concetti.

La versione originale è quella uscita dalla fotocamera (formato RAW, conversione in Jpeg fatta con Llightroom senza alcuna modifica).

La versione finale è frutto degli aggiustamenti descritti (punto di bianco, contrasto, saturazione colori, nitidezza).

Chiesa della Madonna della Salute -VeneziaVenezia Chiesa della Madonna della Salute al tramonto
Cattedrale San Vito all'imbrunire Praga

Metti una sera su Ponte Carlo a Praga

Il ponte Carlo (in ceco Karlův most) è forse la attrazione più famosa di Praga con i suoi artisti di strada, musicisti, venditori di souvenir, e il continuo fluire di turisti a tutte le ore del giorno e della notte.

Costruito in pietra sopra la Moldava, unisce il quartiere di Malá Strana con la Città Vecchia.

Completato nel 1402, è lungo 515 metri, largo 10, ed è delimitato da 2 torri di fortificazione.

Un leggenda racconta che tuorli d’uovo furono aggiunti all’impasto della malta per rendere più solida la sua costruzione.

Ai due lati è oggi adornato da 30 statue barocche di santi, messe lì a partire dal XVII secolo per volere dei Gesuiti.

 

Questa è stata la prima volta che mi è capitato di visitarlo al crepuscolo, per lo più dopo un forte temporale che ha pulito l’aria creando condizioni perfette per fare qualche bella foto.

 

Ponte Carlo in sé è un’attrazione da fotografare, con le sue torri, statue e le persone che lo popolano.

Ma è anche una bella posizione per qualche scatto intrigante sul Castello e la cattedrale di San Vito,  nonché sugli edifici ai lati della Moldava illuminati dalle residua luce del crepuscolo e dalle luci artificiali.

Orologio astronomico Praga

Orologi astronomici

Tra le opere dell’ingegno umano, gli orologi astronomici hanno un rilievo tutto loro.

Opere di rilevante ingegneria tanto più rilevante perché realizzati in anni lontani tra il 1300 e il 1600, quando le conoscenze tecnologiche erano ben lontane da quelle attuali.

La meraviglia nell’ammirarli è quindi più che giustificata.

La loro straordinarietà è confermata talvolta da leggende come nel caso della costruzione di quello di Praga.  Secondo la leggenda Hanuš z Růže, supposto autore dell’orologio nel 1490, sarebbe stato accecato per ordine dei consiglieri della città di Praga per impedirgli di costruirne un altro simile. In realtà l’orologio venne costruito qualche decennio prima (1410) dal maestro d’orologeria Mikuláš z Kadaň e da Jan Šindel, quest’ultimo professore di matematica ed astronomia dell’Università Carlo di Praga.

Per orologio astronomico si intende ogni orologio che mostra anche informazioni di carattere astronomico.

Un orologio astronomico, oltre a mostrare l‘ora, mostra informazioni relative alla posizione del Sole e della Luna rispetto allo Zodiaco. Talvolta indica la data esatta, la posizione dei pianeti maggiori o le fasi lunari.

Gli orologi astronomici, solitamente rappresentano il sistema solare utilizzando un sistema di riferimento geocentrico in accordo con la visione cosmologica europea pre-copernicana.

Tra i più famosi al mondo vi sono quelli di  Rostock, di Strasburgo, di Praga, di Rouen e l’orologio astronomico Passemant.

In Italia abbiamo l’orologio astronomico di Messina, quello in Piazza della Loggia a Brescia, quello di Piazza dei Signori a Padova, quello del Torrazzo di Cremona, della torre dell’orologio di Venezia, quello di Macerata e quello di Trapani restaurato nel 1570 e nel 1596 chiamato “Torre Oscura”.

Rocca degli alberi - Montagnana

Montagnana città murata

Montagnana è uno dei borghi più belli d’Italia. Città murata con mura tardo-medioevali ben conservate che la cingono completamente, racchiude un centro storico di notevole importanza artistico culturale.

È situata a poca distanza da importanti città d’arte quali Padova, Verona, Vicenza, Mantova e Ferrara.

Le mura si sviluppano per circa 2 Km, hanno 24 torri alte tra i 17 e i 19 metri, distanti l’una dall’altra 50 metri, e formano un rettangolo di circa 300×600 metri.

Le porte di accesso sono 4: Porta Vicenza, Porta Padova, Porta XX Settembre, Porta Legnago o Rocca degli Alberi.

La leggenda narra di una fondazione della città da parte di profughi troiani guidati da Antenore.

Luogo ideale per il controllo della regione, anche grazie al fiume Adige che la attraversava fino al 589 d.c. prima della cosiddetta “Rotta della Cucca”.

Nel X secolo Montagnana fu dotata di fortificazioni, situate probabilmente dove ora sorge il Castello di San Zeno, per difendersi dalle frequenti e devastanti scorrerie degli Ungari.

In seguito divenne centro feudale della famiglia dei Marchesi poi detti Estensi ed svolse un ruolo importante come piazzaforte militare nell’ambito della lotta tra Impero e Papato.

Nel 1242 Montagnana venne data alle fiamme de Ezzelino III da Romano (vicario imperiale di Federico II) che poi ne riavviò la ricostruzione a partire dall’ imponente Mastio.

La città tornò poi nelle mani degli Estensi, ed entrò a far parte dei domini del Comune di Padova nel 1275.

Nel XIV secolo il controllo della città passò a Da Carrara, Signori di Padova, che la dotarono di due nuove solidissime cortine murarie in laterizio e trachite, rafforzate da ben 24 torri di vedetta e dall’imponente porta fortificata di Rocca degli Alberi.

Nel 1405, dopo lunghi anni di estenuanti guerre contro Venezia, la città si consegnò alla Serenissima, perdendo importanza militare ma accrescendo la sua potenza economica, e arricchendosi di bellezze artistiche grazie ai nobili veneziani che vi si stabilirono.

Spezie - souk di Marrakech

Il souk di Marrakech

Nel souk di Marrakech

Il souk (mercato) di Marrakech è uno di quei luoghi in cui perdersi è la cosa più saggia da fare.

Non è certo difficile farlo nel dedalo di stradine con centinaia di negozi e una enorme folla sempre in movimento.

A differenza dei souk di altre città arabe, quale quello di Fes, quello di Marrakech sembra essere più ordinato.

I negozi con le diverse merci sono più o meno raggruppati in aree omogenee e questo fornisce un ordinamento spaziale che dovrebbe aiutare ad orientarsi con meno difficoltà.

In realtà orientarsi ha un senso limitato, dato che il bello della esperienza nel souk è proprio quello di girarlo senza destinazione precisa e senza costrizioni temporali.

Ci si sposta su e con gli asini, in motorino, in bicicletta, a piedi.

Il visitatore deve spostarsi a piedi, con un ritmo rilassato, tale da poter apprezzare le tante esperienze che il souk ti consente di fare.

La prima sensazione, intensa, è quella olfattiva. Profumi ed odori di spezie, profumi, cibo di strada, ti avvolgono e ti rendi conto di essere in un qualche altrove.

Persone che non conosci, rigorosamente maschi, si propongono come guida per accompagnarti a visitare la zona delle concerie a cielo aperto o Piazza Djemaa Al Fnaa.

Mano a mano che passi davanti ad uno delle migliaia di negozi, se solo dai l’impressione di un minimo di interesse, anche appena accennato con un colpo d’occhio, il negoziante ti coinvolge con fare coinvolgente senza mai eccedere nel diventare fastidioso.

Metti in conto di berti qualche bicchiere di ottimo tè alla menta, offerto con generosità da molti commercianti per coinvolgere il potenziale cliente ma anche per una apparente, sincera, ospitalità.

Non hai mai l’idea che l’insistenza fosse eccessiva, sia si tratti di un commerciante che di una guida più o meno improvvisata.

C’è come un senso della misura, un gioco sottile nel non insistere troppo, a non trasformare la giusta insistenza in una pressione fastidiosa, nei confronti di turisti e visitatori.


Microcosmo di profumi, colori, luci, forme

In questo microcosmo di profumi, colori, luci, forme, il fotografo si trova come un’ape sul nettare dei fiori.

C’è tutto e di più di quello che serve per provare a fare delle belle foto.

Riuscirci è un po’ più complicato e richiede un po’ di cura.

La ricchezza abbagliante di forme, simmetrie, colori, si accompagna a condizioni di luce molto variabili che includono zone buie a zone a forte contrasto.

La gran parte delle persone non ama farsi fotografare ed è bene non fotografarle.

I commercianti, con qualche eccezione, consentono di fotografare la merce esposta purché non li si includa nelle foto.

Nei quattro giorni di febbraio 2016 passati avanti ed indietro nel souk di Marrakech, e con tantissime foto scartate, spero di essere riuscito a coglierne lo spirito.

Sottopasso Riva Partigiani - Venezia

Venezia con il 50mm

L’uso di un solo obiettivo per una uscita fotografica è sempre un buon esercizio. D’altra parte, per tanti anni, le macchine fotografiche avevano pellicola da 35mm e obiettivo fisso da 50mm. Non c’erano tutte le opzioni che oggi conosciamo in termini di zoom e di obiettivi fissi di varie lunghezze focali.

Perché allora non riprovare l’esperienza di un unico obiettivo per tutta la giornata? In questo caso la scelta non può che ricadere sul 50mm, ovvero su quello più vicino alla visione della scena ad occhio nudo.

Con la mia Canon 5D Mark II e il Sigma 50mm ART, ho girato per Venezia in cerca di qualche vista diversa da quelle fotografate così tante volte. Al solito non si è trattato di un tour fotografico. Le foto sono state un completamento di una  bella giornata passata per le calli e i campi di Venezia assieme a mia moglie.